Dio salvi la passione. Quella dei tifosi: la sola, vera, immutabile ricchezza su cui può storicamente contare la Salernitana. Squadra capace di portare in trasferta cinquemila tifosi (restrizioni permettendo) in A come in B, se non addirittura – tempi andati, per fortuna – in Serie C. Più che un club, la Salernitana è un’idea, un’identità, in una sorta di osmosi e identificazione, appunto, tra la città e la sua derivazione calcistica. Salerno e la Salernitana sono una cosa sola, forse più che in altre parti; non a caso, uno dei cori che risuona più alto e ritmato nella Curva Sud Siberiano recita: “Noi siamo salernitani".
È dunque questa, la ricchezza che la Salernitana non può permettersi di disperdere, a maggior ragione dopo la vergognosa – non ci sono altri aggettivi per definirla – retrocessione della passata stagione: ultimo posto in Serie A con 17 punti (13 dalla penultima), frutto di 2 vittorie, 11 pareggi e la bruttezza di 25 sconfitte, 32 gol fatti e 81 subiti. Ce ne sarebbe un’altra, di ricchezza, più prosaica e meno ideale e romantica, sulla quale i granata (anche se la maglia di quest’anno è scolorita in un triste amaranto, e anche questo è un segno dei – pessimi – tempi) potrebbero piantare i piedi per provare a spiccare il salto per tornare subito nel calcio che conta: quella custodita nelle casse di Danilo Iervolino, ancora proprietario del club dopo essersi dimesso dalla carica di presidente al culmine di un’estate di tormenti personali, polemiche con i tifosi, ventilate ma inconsistenti ipotesi di cessione del pacchetto azionario. Il “sinallagma d’amore”, frase cult dell’imprenditore napoletano per sottolineare il legame tra lui e la tifoseria – stretto il primo gennaio di due anni fa, quando Iervolino salvò dal fallimento la Salernitana appena promossa in A sotto Lotito, che per il nodo multiproprietà non poteva più restarne in possesso – non risuona più sulle sue labbra. La luna di miele tra Iervolino e Salerno è terminata dopo 2 campionati consecutivi di A (mai successo prima nella storia del club), sepolta sotto le macerie lasciate dalla retrocessione di cui sopra e lo strascico di reciproche accuse che lo ha diviso da una tifoseria tacciata di “irriconoscenza” e che a sua volta imputava al patron un progressivo disimpegno economico (conseguenza anche delle tensioni, usuali a queste latitudini, tra lui e la politica, colpevole, secondo la società, dei ritardi su progetti legati a stadio e centro sportivo) e di aver puntato sui cavalli sbagliati nella scelta del diesse (De Sanctis) e degli allenatori (via Sousa, erano subentrati Pippo Inzaghi, Liverani e Colantuono) durante l’ultima, disgraziata stagione.
La Salernitana è dunque ripartita dalla B e da una squadra messa su in rincorsa dal nuovo direttore sportivo Gianluca Petrachi, lui sì una scelta azzeccata quanto a esperienza e competenza. In estate Petrachi ha fatto sul mercato quel che si definiscono le nozze coi fichi secchi: l’imperativo era vendere per rientrare del passivo accumulato (e ancora adesso il “rosso” in bilancio si attesta sui 30 milioni, a fronte dei 75 immessi nel club, parole di Iervolino), e solo in un secondo momento comprare. Quel che si poteva, come si poteva. Ceduti alla Lazio i prezzi pregiati Dia e Tchaouna, sono arrivati per pochi spiccioli (quasi sempre a parametro zero) i vari Soriano, Verde, Hrustic, Torregrossa, Ferrari, Stojanovic, Tello: sulla carta, tanta roba per la B, non fosse che trattasi di giocatori ormai chilometrati e reduci (Soriano, Hrustic, Torregrossa) da lunghi e gravi infortuni. Insomma, un usato sicuro ma solo in teoria. Di contro, sono stati certamente indovinati gli acquisti dei giovani Tongya e Amatucci, il primo esterno sinistro o mezzala, rapido e bravo nell’uno contro uno, capace di inquadrare la porta; il secondo, regista dinamico scuola Fiorentina, buon piede e grinta in quantità industriale nonostante la stazza ridotta.
Petrachi ha affidato la panchina a Giovanni Martusciello, 53 anni, una carriera spesa soprattutto da vice Sarri, dal quale ha mutuato la passione per il possesso palla e un gioco fatto di triangoli stretti. Il problema è la mancanza di un centravanti da doppia cifra. Simy è da tempo la controfigura della punta che aveva esaltato Crotone; Torregrossa deve ancora entrare in forma e da solo, là davanti, fatica; il giovane polacco Wlodarczyk è, appunto, un giovane polacco. Risultato: la Salernitana è piacevole a vedersi, paradossalmente (ma ci voleva poco) più forte di quella sprofondata nella scorsa stagione, ma è terribilmente improduttiva. Dopo 10 giornate ha raccolto 11 punti, conseguenza di 2 vittorie, 3 pareggi e 5 sconfitte, con 11 gol fatti e 14 presi. Squadra in zona playout, allenatore sulla graticola (e ti pareva), tifoseria però compatta a sostegno del giocatori, se non del presidente. Col quale nelle scorse settimane è stata firmata una sorte di tregua armata, in attesa che a gennaio Iervolino decida di aprire il portafogli per rinforzarla. Dimenticati (a parole) i propositi di cessione del club, il proprietario ha annunciato l’intenzione di tornare su in tre anni, lasciando uno spiraglio a un accorciamento dei tempi. Perché ciò succeda è necessario però che torni a investire. Prima ancora, che ritrovi entusiasmo, quell’entusiasmo che sfociava nella lirica del “sinallagma d’amore”. Come ritrovarlo? Ah, ci vorrebbe un articolo lungo uguale per spiegarlo. Diciamo che un buon punto di partenza sarebbe lo stringersi la mano: Iervolino, amministrazione comunale, tifoseria. Il problema, come sempre, è far seguire i fatti alle chiacchiere.
Autore: Lorenzo Portanova
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