Di fronte alla disfatta della Salernitana, il pensiero corre a quei gladiatori che, nell'arena, alzavano lo sguardo verso l'imperatore attendendo il verdetto finale. Pollice verso, purtroppo. La squadra granata precipita nell'abisso senza nemmeno il conforto di una morte gloriosa.

Una squadra che muore due volte non merita nemmeno il lusso della pietà. Valentini, con la sua dichiarazione che "la Salernitana è viva", ha pronunciato l'epitaffio più beffardo: un morto che cammina, ecco cosa è diventata la compagine campana.

Questa è una discesa agli inferi che nemmeno Dante avrebbe saputo descrivere con tanta crudezza. Il penultimo posto in classifica è solo la matematica conferma di un fallimento annunciato. Un fallimento che ha molti padri: Iervolino, il principale architetto della disfatta; Milan, prodigo di promesse mai mantenute; e tutti gli altri consiglieri del principe, tutti corresponsabili di una debacle che resterà impressa negli annali come il biennio più nero della storia granata.

La partita contro la Juve Stabia è stata la fotografia di un'agonia. Breda, novello Nerone che scruta il cronometro mentre Roma brucia, persevera con le sue scelte incomprensibili: un modulo tattico che fa acqua da tutte le parti, cambi ruolo per ruolo quando ormai la nave affonda, e quella ciliegina grottesca sulla torta amara – Guasone lanciato come centravanti nei minuti finali, mentre Simy e Braaf guardano la partita dal divano di casa.

E che dire di quei poveri cristi in campo? Cerri, abbandonato in un deserto offensivo, costretto a fare da sponda per compagni che stanno a trenta metri di distanza. Stojanovic, terzino improvvisato quando nella sua nazionale gioca da attaccante. Verde e Tongya, costretti a recitare un copione scritto male, a quaranta metri dalla porta avversaria.

Il calcio ha le sue leggi ferree, e una di queste recita che una squadra costruita male e allenata peggio è destinata a precipitare. Non c'è remissione dei peccati per chi, come Valentini, non ha saputo fornire alternative ad Amatucci, non ha trovato un compagno di reparto per Cerri, ha improvvisato trequartisti in mezzo al campo dove serviva qualità.

Dodici punti in dodici partite è il misero bottino della cura Breda. Un medico che, anziché guarire il malato, ne ha accelerato il decesso. E ora, mentre il cadavere è ancora caldo, si parla di Martusciello come possibile successore. Cambiare il manico quando la pentola è già bruciata: l'ennesimo esercizio di stile di una società che naviga a vista.

La Salernitana voleva copiare il Frosinone, ma ha dimenticato che le copie mal riuscite finiscono sempre nel cestino della storia. I ciociari ebbero il coraggio di cambiare in tempo; qui a Salerno, invece, si è atteso troppo, e ora il baratro della Serie C spalanca le sue fauci.

Sei partite al termine, sei stazioni di una via crucis che difficilmente condurrà alla resurrezione. Per evitare l'ignominia di diventare "i peggiori della storia granata", servirebbe un miracolo. Ma i miracoli, si sa, avvengono solo quando c'è fede. E a Salerno, ormai, regna solo la rassegnazione.

La notte porta consiglio, dicono. Ma a Salerno sta portando solo l'ennesimo cambio di panchina, l'ennesimo tentativo disperato di raddrizzare una nave che ha già imbarcato troppa acqua. Breda verso l'esonero, la società al lavoro per trovare un sostituto. Ma chi accetterebbe di salire su una nave che affonda? Solo un pazzo o un disperato.

Questo è il calcio: spietato con chi sbaglia, crudele con chi temporeggia. E la Salernitana, in questa stagione maledetta, ha fatto entrambe le cose. Fine ingloriosa di una squadra che ha smarrito la propria anima, prima ancora che la propria identità tattica. Requiescat in pace, e che la Serie C sia leggera.

Sezione: Primo Piano / Data: Dom 06 aprile 2025 alle 13:00
Autore: Giovanni Santaniello
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