La scena è quasi surreale: trecento tifosi, in un orario impossibile per chi studia o lavora, accorrono al campo d'allenamento. Non per protestare, ma per essere presenti. La Curva Sud, cuore pulsante di una passione che non conosce categorie, ancora una volta dimostra che Salerno non è una piazza qualunque.

Ma oggi vorrei parlare di palloni che pesano quintali, di gambe che tremano, di menti annebbiate dalla paura. Vorrei parlare di ciò che non si vede in campo ma che determina ogni passaggio, ogni tiro, ogni scelta.

Quando il pallone diventa di piombo

Chiedere ai calciatori di "sudare la maglia" in questo momento è come chiedere a chi sta annegando di nuotare più veloce. I nostri ragazzi escono dal campo ogni domenica con le maglie zuppe di sudore e le spalle curve per le sconfitte. Non è questione di impegno, ma di testa.

Chi ha giocato a calcio sa che nei momenti di crisi il pallone diventa improvvisamente più pesante. Un passaggio semplice diventa complesso, un tiro che normalmente sarebbe naturale diventa un enigma tecnico. Non è magia, è psicologia dello sport.

L'errore di Cerri e l'applauso che serve

L'errore di Cerri a Cesena è emblematico. In un altro momento della stagione, quel pallone sarebbe finito in rete. Ma ora ogni tiro porta con sé il peso di una stagione intera, di una città che soffre, di una salvezza che sembra allontanarsi ogni domenica.

E cosa ha fatto la curva? Ha applaudito. Ha capito che in questo momento, fischiare un errore sarebbe come spingere sott'acqua chi sta già annaspando.

La testa, non solo il cuore

"Non ci basta più la maglia sudata," hanno detto gli ultras. Concordo, ma aggiungo: non può bastare neanche chiedere solo cuore a chi in questo momento ha bisogno di ritrovare lucidità.

La serie C è uno spettro che si aggira ormai minaccioso sull'Arechi. Negarlo sarebbe sciocco. Ma proprio per questo, ora più che mai, i nostri calciatori non hanno bisogno di pressione aggiuntiva. Hanno bisogno di sentire che domenica e nelle prossime partite Salerno non li abbandonerà.

Un nuovo patto con la tifoseria

Come ha sottolineato Marco Mancini della Nuova Guardia: "Avete una città al vostro fianco, in casa e fuori". Ecco, partiamo da qui. Trasformiamo questa verità in energia positiva.

Non chiediamo loro di "sfondare la porta", chiediamo loro di giocare liberi, di osare, di sbagliare sapendo che l'errore fa parte del percorso. Chiediamo loro di guardare in tribuna dopo un passaggio sbagliato e trovare non facce deluse, ma incitamento.

Ferrari e Cerri sono apparsi "carichi" dopo le parole degli ultras. Ma caricare un calciatore in difficoltà è come caricare una batteria scarica: serve la giusta tensione, non una scarica elettrica che rischia di bruciarla definitivamente.

L'Arechi come terapia, non come tribunale

L'Arechi deve diventare il luogo dove i nostri calciatori vengono per guarire, non per essere giudicati. Dobbiamo trasformare lo stadio in uno spazio dove si sentano protetti, non esposti.

Sì, hanno cambiato tre allenatori. Sì, sono tra i più pagati della categoria. Ma in questo momento questi dati servono solo ad alimentare frustrazione e pressione.

Salerno merita di più, è vero. Ma in questo momento il "di più" non può arrivare dalla categoria, ma dal modo in cui affrontiamo questo momento buio.

Se riusciremo a salvarci, sarà perché avremo creato un ambiente dove i nostri calciatori hanno ritrovato la serenità per esprimersi al meglio.

Perché alla fine, ciò che rende grande una tifoseria non è la categoria in cui milita la propria squadra, ma la capacità di restare vicini nei momenti più difficili. E questo momento è arrivato. Chiediamo loro di giocare da Salernitana. Al resto, penseremo noi.
Un applauso alla volta, un incoraggiamento alla volta, un abbraccio alla volta. Fino all'ultimo secondo dell'ultima partita.
Perché Salerno non molla mai, soprattutto quando la battaglia sembra persa.

Sezione: Primo Piano / Data: Gio 06 marzo 2025 alle 12:00
Autore: Giovanni Santaniello
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