Diciamolo chiaramente: la paura è una cattiva consigliera, soprattutto quando ti trovi invischiato in una battaglia per non retrocedere. Il pareggio di Bari, che qualcuno festeggia come un'impresa degna della Champions League, non è altro che l'ennesimo sintomo di una malattia che sta divorando il cuore granata: la paura.
Sì, quello 0-0 strappato al San Nicola potrebbe sembrare oro colato per chi guarda solo la classifica, ma chi conosce davvero il calcio sa bene che non si sopravvive in Serie B con i pareggi. Soprattutto quando sei penultimo in classifica e le altre combattono con il coltello tra i denti (vedi Frosinone e Sudtirol).

Mi dispiace contraddire i "prudentisti", ma in questa fase del campionato, l'aspetto mentale vale dieci volte più di qualsiasi schema tattico. E mentalmente, questa Salernitana gioca con il freno a mano tirato, come se la Serie C fosse un destino già scritto e non una minaccia da combattere con ogni mezzo.

Il paradosso Breda

Roberto Breda è indubbiamente un professionista serio e un pezzo di storia granata. Nessuno mette in discussione questo. Ma il calcio non è un museo dove si espongono le glorie del passato, è un campo di battaglia dove conta il presente. E il presente dice che questa squadra ha paura di vincere.
Chi si accontenta di non perdere, alla fine perde sempre. È la legge non scritta delle zone calde della classifica. Mentre altri allenatori nella stessa situazione avrebbero già lanciato il segnale "o la va o la spacca", a Salerno si continua con il mantra del "non scopriamoci, non rischiamo". Ma non rischiare, a questo punto della stagione, è il rischio più grande.

Perché aspettare di essere sotto nel punteggio per provare a giocare a calcio? Eppure in quei frangenti la Salernitana mostra di valere. Il calcio propositivo non è un capriccio estetico, è una necessità quando sei nei bassifondi della classifica e hai bisogno di punti, non di pareggi.
La verità è che contro il Palermo un pareggio sarebbe solo un brodino caldo. E se c'è un momento per dimostrare che questa squadra ha ancora un battito cardiaco, è proprio questo.
L'Arechi deve tornare a essere un fortino, non un teatro dove si applaudono prestazioni "dignitose". La dignità, nel calcio come nella vita, si conquista osando quando tutti ti consigliano prudenza.

La proprietà e le sue responsabilità

Certo, nessuno dimentica le responsabilità di una proprietà che ha smantellato un progetto assai promettente. Dall'epoca di Ochoa, Ribery, Candreva, Sousa, Dia e Piatek siamo passati a una squadra che colleziona record negativi e lotta per non sprofondare in Serie C. È una caduta vertiginosa che merita spiegazioni.
Ma proprio perché la situazione societaria è questa, l'allenatore dovrebbe essere il primo a capire che quando sei sull'orlo del baratro, l'unica mossa sensata è saltare in avanti, non indietro.

Chi non risica non rosica: una lezione di vita

Il vecchio adagio "chi non risica non rosica" non è solo un modo di dire, è una filosofia di vita. E nel calcio, soprattutto nei momenti difficili, diventa una necessità. La Salernitana deve rischiare per "rosicare" la salvezza, altrimenti si ritroverà a rosicchiare le briciole lasciate dalle altre squadre.

In questo momento a Salerno di coraggio se ne vede troppo poco. Contro il Palermo serve una scossa, un segnale forte che questa squadra è viva e che lotterà fino all'ultimo secondo per evitare la retrocessione.
Perché, alla fine, è meglio cadere combattendo che sopravvivere strisciando. E se proprio dobbiamo affondare, che sia con la bandiera granata issata sul pennone più alto, non nascosta nella stiva.

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 21 marzo 2025 alle 16:00
Autore: Giovanni Santaniello
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