La notte di Dortmund ci ha regalato un'Italia dagli umori contrastanti, capace di passare dall'inferno al paradiso nello spazio di un intervallo. Quel 3-3 contro la Germania racconta di una nazionale che sembra ancora cercare la propria identità sotto la guida di Luciano Spalletti, un allenatore che nella serata del 23 marzo ha dovuto rivedere più di qualche sua convinzione tattica.
Il primo tempo è stato un autentico disastro tecnico-tattico, con Spalletti che ha voluto sperimentare un 3-5-1-1 che definire azzardato sarebbe un eufemismo. Daniel Maldini a supporto dell'isolatissimo Kean ha rappresentato una soluzione che sulla carta poteva anche avere un senso, ma che sul campo si è trasformata in un invito a nozze per la Germania. Le corsie laterali sono diventate autostrade per i tedeschi, con Bastoni, Gatti e Buongiorno costretti a rincorrere avversari che sembravano sempre avere un uomo in più.
La coppia Ricci-Tonali in mezzo al campo è stata semplicemente travolta dall'intensità tedesca. Spalletti, che in carriera ha sempre costruito squadre capaci di governare il pallone, ha assistito impotente a un primo tempo in cui i suoi centrocampisti sembravano parlare una lingua diversa dai compagni. Quando il centrocampo non funziona, è l'intera architettura di gioco a crollare, e così è stato.
Ma è sui calci piazzati che la preparazione azzurra ha mostrato le lacune più preoccupanti. Il secondo gol tedesco resterà negli annali come esempio di ciò che non dovrebbe mai accadere a questi livelli: Musiala lasciato solo soletto su calcio d'angolo battuto rapidamente ha potuto comodamente insaccare a porta vuota, in una scena che avrebbe fatto rabbrividire anche i difensori di una squadra dilettantistica. "Distratti" sarebbe un complimento per definire l'atteggiamento della retroguardia italiana in quell'occasione.
Il terzo gol, con Kleindienst che ha sovrastato Di Lorenzo con la stessa facilità con cui si prende un libro dallo scaffale più alto, ha certificato una serata da incubo per la fase difensiva azzurra. A quel punto, con tre reti sul groppone e una Germania che sembrava divertirsi, molti avrebbero iniziato a fare i calcoli per capire quanti gol avremmo potuto incassare prima del novantesimo.
Ed è qui che Spalletti, con la saggezza di chi sa riconoscere i propri errori, ha rivoluzionato la squadra nell'intervallo. Via la difesa a tre, dentro Frattesi e Politano, e l'Italia si è trasformata. È bastato passare a un più razionale 4-3-3 per ritrovare equilibri perduti e mettere in difficoltà la Germania.
Improvvisamente Kean non era più un naufrago in mezzo al mare, ma un centravanti supportato da compagni che sapevano come servirlo. La sua doppietta non è stata casuale, ma frutto di un disegno tattico finalmente coerente. Le fasce, da problema, sono diventate risorsa, con Politano capace di creare superiorità e mettere in apprensione la difesa tedesca.
La partita, da monologo tedesco, si è trasformata in un confronto equilibrato, culminato nel rigore trasformato da Raspadori che ha fissato il punteggio sul 3-3. Un pareggio che lascia l’amaro in bocca ma lenisce le ferite degli italiani presenti sugli spalti, considerando come si erano messe le cose.
Cosa ci insegna questa partita? Che Spalletti, deve ancora trovare la quadra tattica con il materiale a disposizione. Che il 3-5-1-1 può tranquillamente essere archiviato negli esperimenti falliti. Che sulla preparazione dei calci piazzati servirebbe un ritiro dedicato, vista la facilità con cui siamo stati perforati. Ma soprattutto che questa Italia, quando messa nelle condizioni giuste, ha carattere e qualità per giocarsela con chiunque.
In fondo, come direbbe lo stesso Spalletti "a volte bisogna toccare il fondo per dare una bella spinta e risalire". E l'Italia, dopo aver toccato il fondo nei primi 45 minuti, ha saputo risalire con una ripresa che lascia qualche spiraglio di ottimismo per le prossime qualificazioni ai mondiali.
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