In tempi caratterizzati purtroppo da guerre vere che coinvolgono stati e mietono dolorosamente vittime, leggere e sentire parlare di conflitto tra un calciatore e la società per la quale questi è tuttora tesserato fa specie e fa male, ma tant'è e, piaccia o meno, occorre prenderne atto. Tra la Salernitana capeggiata da Danilo Iervolino e l'ex bomber granata della felice scorsa stagione, è scontro pressoché totale, che promette di perdurare se non di rincarare il proprio livello di intensità, e ciò sia nelle sedi istituzionali di giustizia, sia a colpi di interviste e fughe di notizie varie. Provando a leggere neanche troppo tra le pieghe di questa triste vicenda apparirebbe chiaro che la società di via Allende avrebbe individuato in Boulaye Dia il principale responsabile della retrocessione in serie cadetta, se non addirittura della stagione sbagliata vissuta dal club campano. In coerenza con quanto appena sottolineato vi sarebbe l'entità, obiettivamente senza precedenti storici per le proporzioni, del risarcimento danni richiesto all'attaccante e pari a ben 20 milioni di euro, oltre, ovviamente, al dimezzamento degli emolumenti da corrispondere al calciatore.
Iervolino e soci si sarebbero convinti che senza i continui mal di pancia del nazionale del Senegal, culminati in atteggiamenti sbagliati e conseguenti necessari provvedimenti disciplinari del club, la Salernitana non sarebbe rimasta vittima del declassamento di categoria, imputato soprattutto al venire meno dell'apporto realizzativo del proprio migliore elemento in organico e al deterioramento dello spogliatoio. Dia avrebbe acceso la miccia che poi, continuando a bruciare, avrebbe portato alla detonazione responsabile della frantumazione dello spogliatoio granata e dell'avvelenamento dell'ambiente ad esso circostante. L'opinione di chi scrive non viaggia in questa direzione dal momento che, pur riconoscendo quanto abbia negativamente inciso l'assenza fisica e mentale dell'atleta artefice lo scorso anno di sedici marcature, alcuni assist vincenti e giocate trascinanti, si ritiene i fattori determinanti il triste epilogo stagionale più numerosi e complessi, nonché già più volte analizzati e relazionati.
Puntare solo ed esclusivamente su un unico giocatore che avesse dimostrato di trovare la via della porta avversaria in massima serie è stato un azzardo inaccettabile, già di per sé e soprattutto considerando i rapporti tesi già esistenti nel ritiro precampionato e con un mercato aperto per poter operare alla voce entrate. Prima ancora vi erano state altre scelte e linee strategiche più che discutibili, come le modalità di gestione societaria della vicenda Sousa, la valutazione del ds De Sanctis di non intervenire per rinforzare una difesa colabrodo e a gennaio poi il karakiri finale del mercato di riparazione condotto stavolta dal subentrato dg Walter Sabatini. La Salernitana retrocedendo ha subito un danno ingente che da valutazione dello stesso club campano ammonterebbe all'incirca in venti milioni di euro, tra depauperamento del valore del parco calciatori, mancati introiti e calo di immagine. Impensabile a nostro modesto avviso che la giustizia sportiva possa accogliere una siffatta pretesa risarcitoria e molto probabilmente il tutto rischia di chiudersi con una cospicua sanzione per Dia in termini di trattenute in busta paga.
Venendo al fatto poi viene da chiedersi se effettivamente si sia verificato in questi termini gravi o se, oppure, esso va ridimensionato nel senso di un atteggiamento errato ed irritante dell'ex cannoniere africano e in un cambio di idea da parte del tecnico Liverani, che avrebbe, infastidito, rinunciato a farlo subentrare chiamando un compagno di squadra al suo posto. In tal senso sembrerebbe che abbiano testimoniato, prendendo posizione pro Dia, i colleghi Coulibaly e Costil e la prossima mossa sarà la fondamentale audizione di Fabio Liverani. Fermo restando il comunque censurabile atteggiamento del calciatore, meritevole di sanzione, la vicenda sarebbe da riportare alla giusta dimensione e con una sanzione che sia commisurata, laddove sia poi comminata, alla fattispecie realizzatasi in concreto. Ben venga pertanto la chiarezza che dovrebbe giungere dagli accertamenti degli organi a ciò preposti, ma vediamo quanti e quali sono e come i medesimi vanno ad operare in siffatte situazioni. In prima battuta interviene il collegio arbitrale presso la serie A, che viene attivato proprio perché sussiste nei contratti base di lavoro dei professionisti tesserati e delle società affiliate la clausola compromissoria, che rende preliminare l'uso della giustizia sportiva rispetto a quella ordinaria dell'ordinamento statuale.
Il collegio arbitrale ricostruisce i fatti secondo i principi cardine del contraddittorio, dell'imparzialità e parità di trattamento e di speditezza, decidendo secondo le norme e gli usi dell'ordinamento sportivo vigente. In parole povere ambedue le parti hanno modo di dimostrare la fondatezza della tesi accusatoria l'una e la validità delle argomentazioni difensive l'altra, con l'ausilio fondamentale delle audizioni dei testimoni chiamati in causa da attore e convenuto, il cui peso è notevole ai fini della decisione finale. Il collegio arbitrale, attivato dalla domanda della parte che si sente lesa ed agisce, è composto da minimo tre arbitri, uno scelto dall'attore (La Salernitana), uno scelto dal convenuto (Dia) e un terzo, il Presidente, nominato dai due arbitri precedenti. L'organo, dopo un tentativo obbligatorio di conciliazione, passa alla fase istruttoria dove ricostruisce i fatti secondo i principi cardine del contraddittorio, dell'imparzialità e parità di trattamento e di speditezza, decidendo secondo le norme e gli usi dell'ordinamento sportivo vigente. Contro la decisione del collegio, che prende il nome di lodo e che la Federazione riconosce come vincolante per le parti dando poteri al Consiglio Federale di prendere tutti i provvedimenti necessari al suo rispetto, la parte avente interesse può ricorrere solo al Tribunale della circoscrizione di emissione del lodo, in funzione di giudice unico del lavoro.
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